Micene - Epidauro - Dafni - henrymilleringrecia

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Una corsa a Micene in automotrice, per 12 dracme (!). Domenica mattina presto – non sono ancora le otto - percorriamo a piedi la strada che parte dalla stazione. Un ragazzo sta piangendo accorato perché l’amico gli ha portato via tutti i soldi. E’ grottesco sentire questo pianto così presto. E’ come quello di un animale smarrito. All’ultima curva vedo un tumulo verde, liscio e rotondo – la striscia d’erba più perfetta che abbia mai visto. Sono sicuro che i morti stiano dormendo sotto a questo grande cuscino di terra. Qualche passo più avanti oltrepassiamo la prima tomba – quella di Agamennone. Scorgo Micene, le rovine, questo luogo di orrori. Alla pari di Tirinto, è ben scelta. Tirinto, Argo, Micene – tre luoghi strategici e sacri. Nessuno li distruggerà mai. Le civiltà possono nascere e morire, ma questi luoghi resteranno intatti, radicati per l’eternità nel paesaggio, nella storia, nel tempo e nell’evoluzione della razza umana.
 
Una notizia importante: pranzo al fresco alla Belle Hélène! Il pasto migliore consumato in Grecia. Come antipasto, un grosso libro di archeologia di scuola britannica. Mi appisolo sotto un albero. Un gruppo di uomini misura un terreno – una lite per la proprietà. La  scena mi colpisce, è significativa. Mi tocca. Di colpo, la terra ridiventa importante – persino un metro quadro. Si è lontani da preoccupazioni megalopolitane. Nessuna discussione astratta, nessun calcolo astratto, nessun pacchetto azionario astratto. Terra, terra misurata con il centimetro del sarto. Davvero emozionante. Ancora più emozionante pensare che il proprietario arerà il terreno nell’indifferenza più totale alle vestigia del passato sparse intorno. L’eterno contadino, che vive in un eterno presente. L’uomo senza storia, l’ultima ruota del carro che sostiene il flusso culturale…
 
Epidauro. Forse il luogo più perfetto che abbia visto sulla terra. La giornata è straordinariamente bella, il cielo di un blu più elettrico del solito, che le colline tagliano con il loro dorso affilato come un rasoio. Così questo era uno dei grandi centri terapeutici del mondo antico! Si sarebbe potuto ricostruire la sua gloria con l’immaginazione, anche se non fosse rimasta neanche una pietra a testimoniarla. Penso ai miei amici psicoanalisti – Otto Rank, i dottori René Allendy e E. Graham Howe, penso a Jung, Freud, Stekel et alia. Essi lavorano con le macerie dell’umanità, con le carcasse, i resti, i busti e le teste mozzate.
 
Al tempo di Esculapio l’uomo era un essere completo. Lo si poteva raggiungere attraverso lo spirito, la metafisica era la chiave, l’apriscatole dell’anima. Oggi, neanche il più grande analista è in grado di restituire agli uomini ciò che hanno perduto. Ogni anno a Epidauro si dovrebbe tenere un congresso di medici. Essi dovrebbero essere i primi a essere curati! E questo è il posto per la cura. Per cominciare, prescriverei loro un mese di silenzio assoluto, di riposo totale. Ordinerei loro di smettere di pensare, di parlare, di teorizzare. Lascerei che il sole, la luce, il caldo, l’immobilità operino la devastazione. Concederei loro di diventare leggermente alienati a causa della misteriosa solitudine. Ordinerei loro di ascoltare gli uccelli, il tintinnio delle campane delle capre, lo stormire delle foglie. Li farei sedere nell’enorme teatro a meditare – non sulla malattia e sul modo di prevenirla, ma sulla salute, prerogativa di ogni uomo. Proibirei i sigari, i grossi sigari neri della scuola freudiana e soprattutto i libri. Raccomanderei di coltivare uno stato di suprema e beata ignoranza. Darei loro, gratis, una collana di grani. E grappoli d’uva riscaldati dal sole. Poi farei venire un pastore a soffiare le note selvagge dell’Anatolia in un flauto consunto...

Visita a Dafni. La chiesa mi interessa molto meno del paesaggio, della luce, delle rocce color grigio lavanda. Mi incammino verso il mare lungo la Via Sacra. Sono intossicato dall’atmosfera, come quando avevo camminato incautamente verso Byron. Oggi, domenica, ho visto il miracolo della luce che abita gli alberi. Essa attraversa il fogliame creando un vaporoso manto verde, un’intrinseco alone, l’aura stessa della pianta. È’ la sua anima che viene rivelata. Gli alberi sono immersi nella santità, nella purezza della loro essenza. Diventa chiara la separazione fra corpo e anima. C’è da impazzire. E ancora di più per l’austerità del suolo, il grigio rosato, l’aspetto leggermente tibetano dei pendii. Non ci sono più le foglie, ci sono solo delle pennellate verdi che ondeggiano al vento. La salvia argentea abbraccia tenacemente la terra, come per proteggere un abietto segreto rettiliano. Mi arrampico lungo il fianco di una collina per vedere meglio il paesaggio, ma sono troppo spaventato dalla sua nuda bellezza. Mi fermo a mezza strada e mi guardo intorno senza capire. Sembra una delle scene magiche e folli evocate ogni tanto da Shakespeare, nella sua disperazione. Qui l’uomo si riunisce al mondo dei rettili. Non osa camminare eretto, eccetto che come dio. Questa è la punizione inflitta nel corso dei secoli, il grande segreto del potere della Grecia e della sua temporanea abnegazione o abdicazione. L’uomo ha imparato qui a camminare come un dio. E un giorno egli camminerà di nuovo – come un dio. Quando avrà dimenticato quel che conosce ora. (Oggi, mio primo giorno su una macchina volante, mi è venuto questo pensiero – quanto sia ridicolo e degradante stare seduti in aria su un sedile, spinti da un motore, completamente passivi e inutili. Volare è la forma più bassa del viaggiare. Tanto varrebbe essere un pezzo di merda.)


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